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06 settembre 2023

Direttiva Case Green: cosa prevede e cosa fa discutere

Direttiva Case Green: cosa prevede e cosa fa discutere

La Direttiva 2002/91/CE rappresenta la prima versione della EPBD (Energy Performance of Buildings Directive): dopo 21 anni e altri due aggiornamenti (quella in vigore oggi la EPBD III, pubblicata il 19 giugno 2018 sulla gazzetta ufficiale europea ed entrata in vigore il 9 luglio 2018), lo scorso 14 marzo il Parlamento europeo ha approvato la proposta di revisione numero 4, all’interno del pacchetto “Fit for 55”. L’EPBD è, di fatto, il principale strumento legislativo per promuovere il rendimento energetico degli edifici e favorire il rinnovamento all'interno dell'UE. Viene chiamata anche Direttiva Case Green. Attualmente la bozza è entrata nella sua fase dei “triloghi”, negoziati informali cui prendono parte alcuni rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione, che hanno lo scopo di elaborare la versione definitiva del testo normativo.

 

I punti salienti della EPBD IV

L'Unione Europea ha adottato da tempo politiche finalizzate alla transizione energetica anche nel settore residenziale, responsabile dell’emissione di ben il 36% dei gas climalteranti. Per questo, la Commissione ha inserito, nel pacchetto "Fit for 55", la revisione della EPBD, così da far rientrare, il settore edile, nel quadro di sostegno alle politiche di rigenerazione ambientale, di riduzione del consumo energetico e delle emissioni. L'obiettivo della Direttiva è quello di promuovere il miglioramento della prestazione energetica degli edifici e la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra degli edifici all'interno dell'Unione per conseguire un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050, tenendo conto delle condizioni climatiche esterne, delle condizioni locali, delle prescrizioni relative alla qualità degli ambienti interni e del contributo del parco immobiliare alla flessibilità della domanda al fine di migliorare l'efficienza del sistema energetico e l'efficacia sotto il profilo dei costi.

In particolare la Direttiva Case Green stabilisce che:

  • gli edifici di nuova costruzione occupati o gestiti da enti pubblici o di proprietà di questi ultimi siano a emissioni zero dal primo gennaio 2026;
  • tutti gli edifici di nuova costruzione siano a emissioni zero dal primo gennaio 2028.

Inoltre, sostiene che gli edifici e le unità immobiliari di proprietà di enti pubblici, così come gli edifici e le unità immobiliari non residenziali, conseguano al più tardi:

  • dal primo gennaio 2027, almeno la classe di prestazione energetica E;
  • dal primo gennaio 2030, almeno la classe di prestazione energetica D.

Chiede, infine, che gli edifici e le unità immobiliari residenziali conseguano al più tardi:

  • dal primo gennaio 2030, almeno la classe di prestazione energetica E;
  • dal primo gennaio 2033, almeno la classe di prestazione energetica D.

Alcuni edifici risultano essere esonerati dall’obbligo di rispettare le regole introdotte attraverso la Direttiva Case Green. Rientrano in questa particolare categoria i seguenti immobili:

  • le abitazioni unifamiliari con una superficie inferiore a 50 metri quadrati;
  • eventuali seconde case, che vengono utilizzate meno di quattro mesi ogni anno;
  • gli edifici che ricadono nei centri storici;
  • gli immobili che risultano essere vincolati dai Beni Culturali;
  • le chiese e gli edifici di culto;
  • gli edifici che sono di proprietà delle Forze Armate o del Governo centrale, la cui destinazione è la difesa nazionale.

 

 

Fumata nera

La volata finale per arrivare all’approvazione della Direttiva è partita il 6 giugno con il primo trilogo. Il secondo si è tenuto il 31 agosto ma non si è ancora arrivati alla definitiva promulgazione della direttiva. In quest’ultima occasione, Parlamento e Consiglio si sono scontrati sull’articolo 9a della direttiva che riguarda l’installazione dei pannelli solari sugli edifici nuovi ed esistenti. Come riportato dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore, è stato soprattutto il terzo comma ad aver alimentato lo scontro, in base al quale “i Paesi membri assicureranno l’installazione di pannelli solari secondo un calendario molto serrato”. Si parla del 2026 per tutti gli edifici pubblici e gli edifici non residenziali, per passare tra il 2028 e il 2032 agli altri edifici. E proprio il 2026 avrebbe generato il disappunto, in quanto “il Consiglio avrebbe preferito limitare l’installazione di pannelli solo agli edifici oggetto di ristrutturazione, anziché coinvolgere tutti gli immobili esistenti”.

Qualche passo avanti, comunque, c'è stato. Il trilogo ha ratificato l'accordo su una lunga lista di passaggi sui quali era stato trovato, nelle scorse settimane, un compromesso a livello tecnico: gli articoli 22, 23 e 24 sono così stati archiviati. Riguardano gli esperti indipendenti che si occupano di verifiche legate all'efficienza energetica degli immobili, i professionisti dell'edilizia e i sistemi di controllo.

Non c’è stato alcun avanzamento sull’articolo forse più importante di tutto l’impianto normativo, il numero 9 che riguarda l’avanzamento delle classi energetiche dalla G alla D entro il 2033, passando per la E entro il 2030.

La EPBD IV sembra proprio in una fase di stallo. Ma l’intenzione è quella di accelerare, dal momento che in vista c’è la fine della legislatura europea. Nel corso di settembre ci saranno almeno quattro incontri tecnici, per favorire il terzo trilogo formale in programma il prossimo 6 ottobre.

 

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